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In esilio. Divagazioni sulle Memorie di Glückel Hamlen

 

di Andrea Russo

 

 

 

Qualche anno fa, leggendo La teologia politica di San Paolo di Jacob Taubes, mi sono imbattuto per la prima volta nel nome di Glückel von Hamlen, che viene evocato come testimone dell’imponente movimento sabbatiano, che, negli anni Sessanta del XVII secolo, divampò dallo Yemen alla Polonia coinvolgendo la quasi totalità degli ebrei della Diaspora. Il paradosso tragico dell’apostasia messianica di Shabbetaj Zevi mi ha sempre attratto. Venire a conoscenza delle Memorie di Glückel Hamlen e scoprire che il testo era persino reperibile nella traduzione italiana[1], mi ha subito indotto a leggerlo. (Continued)

L’apostola della Bowery. Sulla nuova biografia di Dorothy Day scritta da Giulia Galeotti.

 

di Marcello Tarì

 

 

Un’affamata di realtà

 

Si sente spesso ripetere che «non c’è pace senza giustizia» e la frase trova in genere un certo consenso. Tuttavia, più che un’affermazione senza ombre, quella espressione suona come una severa interrogazione rivolta al mondo e alla storia, poiché di solito è urlata a fronte di un vuoto di giustizia e quindi in assenza di pace. Ma se una pace senza giustizia è solo la momentanea sospensione dello scontro, si può dire allora che un atto di giustizia dia automaticamente la pace? Nulla è meno sicuro. (Continued)

«Per un catechismo rivoluzionario». Su La communion qui vient (Paris, ed.Seuil 2021)

Marcello Tarì

No, non è al catechismo di Necaev, il manifesto russo del nichilismo rivoluzionario, che gli autori de La communion qui vient [La comunione che viene] si riferiscono, quando viene evocato a mo’ di slogan in un punto cruciale del testo. Per capirlo è sufficiente guardare al sottotitolo del libro: Carnets politiques d’une jeunesse catholique [Quaderni politici di una gioventù cattolica].

(Continued)

Esse est percipi

Mårten Björk

Il testo che segue è l’orazione funebre tenuta da Mårten in occasione della morte di suo padre.

(Continued)

Il deserto nella metropoli. Appunti sulle orme di Charles de Foucauld.

Paolo Sorbi

“Tutto attrarrò a me”

Non si comprende la decisiva importanza del ruolo svolto da Charles de Foucauld nella vita della Chiesa in tutto l’arco del ‘900 se non risaliamo al proto-ruolo che ebbe Teresina di Lisieux, vera “radice” di quella che amo definire come “spiritualità del ‘900”.

(Continued)

Nubi e deserti dello spirito. Su alcuni caratteri topografici della xeniteia

Federico Della Sala

Ospitiamo un intervento particolare e complesso di Federico Della Sala. Qui il link al testo che, per la sua natura, preferiamo proporre in pdf. Ringraziamo molto l’autore.

David Maria Turoldo. Lo spettro, la spada e l’eterna vita

Massimiliano Cappello

Oggi 6 febbraio 2021 ricorrono 29 anni dalla scomparsa di padre David Maria Turoldo

«Gli ultimi momenti di una cultura politica milanese furono la mattina di gelo dei funerali delle vittime di piazza Fontana; e il pomeriggio di ghiaccio di quello di Pinelli. Pochi giorni fa, ventidue anni dopo, una grandissima folla era intorno alla bara di padre Turoldo. Brutto segno, le esequie. Lungo corso Vittorio stracolmo di folla potevi toccare con mano la fine di una forza politica (quella democratico-popolare che per quasi mezzo secolo aveva retto, ma sempre più debolmente, agli assalti della destra) e, forse, l’ancora incerto diffondersi di un impegno morale (e, per ora, pre-politico) fra giovani nuovi, silenziosi e, speriamo, implacabili».

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Solo monaci e delinquenti

don Flavo Lazzarin

Dal sito della Diocesi di Mantova pubblichiamo un’interessante riflessione di don Flavo Lazzarin missionario mantovano fidei donum in Brasile:

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Dalla gnosi all’Antropocene

di Andrea Russo

Quello che cercherò di fare nelle prossime pagine è accendere una piccola luce che illumini quello che a me pare il cono d’ombra della nozione di xeniteia. Ciò che qui è in questione non è la xeniteia per così dire “genuina” dell’ethos monacale, che Mario Tronti e Marcello Tarì hanno messo in rilievo nel testo inaugurale di questa rubrica; quanto piuttosto la xeniteia come esercizio morale di squalificazione e negazione del mondo e della terra, che è tipica della sensibilità gnostica.

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I sogni dei monaci. Estraniamento e tecnica di sé

Alessandro Baccarin

«La xeniteia è la rinuncia irrevocabile a tutto ciò che per noi ha il sapore della patria, e che si contrappone fra noi e la santità, il nostro scopo ultimo. La xeniteia è il comportamento privo di vacuità, la saggezza intima, l’unione senza politica, la forma di vita segreta, il fine invisibile, il pensiero del mistero, la fame di frugalità, il desiderio ardente di povertà, la sete inestinguibile del divino, la pienezza d’amore, l’odio viscerale per la fama, la profondità del silenzio».

Con queste parole di marmo Giovanni Climaco descrive la xeniteia, il farsi straniero nel mondo del monaco, «la bella emigrazione», come la definisce Evagrio Pontico. Il monaco è lo straniero senza tempo, il senzapatria, il clandestino, il fuoriuscito, l’esule, l’emigrato, il disertore. Ciò che disegna la scelta anacoretica o cenobitica dei  monaci è proprio il rifiuto della città, con la sua società e la sua politica. I monaci si collocano inequivocabilmente al di fuori di tutto ciò che è definito civiltà. É a questo rifiuto che dobbiamo ricondurre il sarcastico riferimento di Climaco all’odiata «fama».

(Continued)