Brani tratti da “Cristianesimo bizantino” di Hugo Boll*, Adelphi 2015, edizione originale 1923.
Giovanni Climaco è il santo conosciuto con il nome di Giovanni della Scala. Igumeno del monastero del Monte Sinai intorno al 580, fu così chiamato perché lasciò un’opera ascetica divisa in trenta gradi o gradini. Sembra che originariamente, in testa al suo libro, l’autore avesse scritto soltanto Tavole spirituali, plakez pneumatikai. Ma già i monaci che eseguirono le prime copie diedero allo scritto il titolo klimax, nella traduzione latina Scala Paradisi, “Scala del Paradiso”.
A vent’anni (ma forse l’indicazione si riferisce al ventesimo gradino del suo apprendistato ascetico, poiché sembra che abbia trascorso diciannove anni sotto Martirio, il maestro, il cui nome assume per lui un significato simbolico) è ordinato monaco. Armato delle preghiere del suo maestro, equipaggiato del “proprio corredo da combattimento per distruggere i bastioni nemici” si ritira in eremitaggio.
Se il monaco combatte con le preoccupazioni del tempo, l’anacoreta affronta quelle dell’eternità.
Giovanni ha così descritto la differenza tra monaco ed eremita nel XXVII gradino del suoi libro: “All’uno viene in aiuto il fratello, all’altro l’angelo”. Se i monaci sono atleti dell’afflizione, gli anacoreti sono atleti della disperazione. L’eremita rappresenta il grado più alto del combattimento spirituale.
Illuminato dalle fiaccole dell’amore divino, Giovanni entra nell’arena dell’anacoretismo. Quarant’anni trascorre nel suo eremo presso Tola, a cinque miglia dalla chiesa edificata dall’imperatore Giustiniano.
Nondimeno una lettera di Gregorio Magno penetra in quella pace. Il più devoto di tutti i papi saluta il figlio solitario come saluta Benedetto, il padre di Montecassino: con la voce commovente del sommo pastore, che sente la tiara come un peso, anzi come una disgrazia per la sua anima. Chi ha avuto in sorte il privilegio di vivere in solitudine è anche tenuto a pregare per quelli cui è toccata la sventura di essere lasciati nel logoramento del trambusto quotidiano.
Così Giovanni combatte la realtà come un pestilenza e la zavorra della vita come un’eresia. Perversioni sono per lui tutti i concetti che abbiamo di realtà e naturalità. Il corpo egoista è un’ulcera dell’anima, l’io un inganno demoniaco.
Ciò che accade per proprio volere non raggiunge Dio. Solo la rinuncia al proprio Ego fa posto alle cose divine.
Giovanni Climaco porta nella sfera spirituale tutta la disciplina che era venuta meno nelle caserme della romanità al tramonto. Nel monastero di Cristo, supremo Signore della guerra, l’eletto di Dio trascorre il periodo del suo addestramento. Qui riceve l’istruzione che lo rende capace, “alleggerito del proprio corpo e non riconoscibile da nessun colore”, di attaccare chi porta le fiaccole che danno fuoco allo spirito. Il santo mutua dall’arena le immagini che trasfigurano i suoi eroi. Pugili di Cristo li chiama, quelli che fracassano la corazza dell’abitudine. La spada dello spirito sguainata contro la propria volontà, protetta dall’elmo di cuoio della grazia, stanno ben ritti in campo, un piede proteso in avanti, pronto all’attacco o alla difesa, l’altro fermo nella preghiera.
* Scrittore, poeta, attore e regista teatrale, Hugo Ball (1886-1927) diede vita nel 1916, con Tristan Tzara, al movimento dadaista e fondò a Zurigo il Cabaret Voltaire. In seguito, rientrò in seno alla Chiesa cattolica, conducendo uno stile di vita ascetico assai vicino a quello di Hermann Hesse, a cui fu legato da profonda amicizia.